FORMATORI DI ECCELLENZA

Giancarlo Comi

 

 

Giancarlo Comi

Giancarlo Comi

IRCCS San Raffaele Milano


Ipse dixit

La formazione non è soltanto un trasferimento di una conoscenza specifica ma è il trasferimento delle conoscenze che una persona ha acquisito e come le ha integrate dentro di se.
Al vertice della formazione secondo me rimane la magia della parola e dell’esperienza comunicata. E’ questo che fa la differenza.

 

Ciò che l’Università vende non è tanto il sapere che si può ritrovare in qualsiasi testo ma è proprio il sapere attraverso gli occhi, l’esperienza e la parola dei docenti

Giancarlo Comi

 

ForumECM accende i riflettori sui professionisti che la stessa comunità medica riconosce come formatori di eccellenza. Non solo per il percorso professionale e le competenze acquisite ma anche e soprattutto per la capacità di trasferirle alla comunità facendole diventare patrimonio comune.

 

In questo primo numero la fa intervistando il Prof.Comi, maestro di fama mondiale che ha dedicato e dedica tutt’ora la sua vita soprattutto allo studio di nuove terapie nella sclerosi multipla. Nato a Cervico nel 1947, si è laureato con lode in Medicina e Chirurgia nel luglio del 1973 presso l’Università degli studi di Milano e successivamente si è specializzato in Neurologia con lode nel 1977. Da quel momento è iniziata la sua brillante carriera caratterizzata da innumerevoli sfide e molti successi in campo professionale.

 

Professor Comi perché ha scelto di intraprendere la professione di Medico, cosa le ha fatto scattare la scintilla?


È difficile da dire, sicuramente c’è stato fin dall’adolescenza un interesse più che per la medicina per il cervello e per il sistema nervoso, e questo tipo di interesse si è poi incanalato nell’ambito medico ma poteva prendere anche altre direzioni.

 

Considerati i suoi innumerevoli impegni  ha del tempo libero da dedicare alle sue passioni ?


Guardi il tempo è stato progressivamente risucchiato dalle molteplici attività svolte nell’ambito della mia professione medica, rimane comunque la passione per lo sport anche per dare un minimo di compensazione al corpo, visto che tutto il resto lo dedico alla mente.

Cerco di ritagliarmi degli spazi considerando quanto è modesto il mio tempo libero. Amo il mare e l’estate mi dedico al nuoto ed alla vela, mentre l’inverno, se ho qualche frammento di tempo libero, mi diletto nello sci. Un’altra mia passione, visto che ho un piccolo rustico sul mare nel parco di Monte Marcello, nel golfo dei poeti , è curare il mio uliveto e dilettarmi a fare olio sfruttando la serenità del posto. Diciamo che alleno un pò le braccia facendo il contadino, è come un desiderio di compenso. Se ho dei piccoli brandelli di tempo li strappo e mi ritiro nel mio angolo di paradiso per liberare la mente.

 

Studiando il suo brillante curriculum, ho notato che è titolare della Cattedra Onoraria di Neurologia dell’Università Complutense di Madrid, partecipa ai Comitati Direttivi di numerose società scientifiche  nazionali ed internazionali, è Vicepresidente dell’European Charcot Foundation, è stato presidente dell’European Neurological Society. Considerato il suo percorso formativo internazionale come considera il percorso universitario italiano rispetto a quello di altri paesi di cui ha avuto conoscenza diretta?

 

Posso rispondere a questa domanda alla luce di una mia esperienza diretta. Nel 2004 ho creato un dottorato internazionale di neurologia sperimentale, ed osservando i molti giovani che, durante tale percorso, spendono una parte del loro tempo all’estero, mi sono reso conto che in realtà la loro preparazione è decisamente  molto buona. Infatti  non avuto nessuna difficoltà a farli ospitare nei migliori laboratori di ricerca di tutto il mondo. Noi lavoriamo in collaborazione con le migliori strutture neurologiche di diversi Paesi , parliamo ad esempio di Cambrige, di Boston, e le devo dire la verità che ho sempre sentito parole di soddisfazione per la preparazione dei nostri ragazzi. Credo che per quanto concerne per lo meno l’ambito medico, la preparazione generale sia molto buona, devo anche dire che i nostri ragazzi provengono in parte dalla formazione dell’Università degli studi del San Raffaele, che come Università ha dei programmi di formazione molto innovativi e ciò contribuisce probabilmente  anche a questo buon background di conoscenze. L’università rimane quindi il perno fondamentale della preparazione. La mia percezione è che in realtà, almeno nell’area biomedica, l’università italiana non sia in condizioni così difficili come alle volte viene dipinta, ovviamente c’è bisogno di rinnovarsi. Uno dei momenti migliori della mia giornata è proprio quando insegno ai miei studenti, sono rimasto favorevolmente colpito dal contatto che ho con loro. Nell’ambito del mio corso di neurologia, mi occupo personalmente di tutto il corso per un totale di circa 108 ore di lezione. Non è per nulla vero che in Italia siamo in una condizione di disastro da non avere più prospettive future,  sono dell’idea che abbiamo delle ottime potenzialità e che dobbiamo solo svilupparle.

 

È autore di più di 600 lavori in estenso su riviste nazionali ed internazionali ed è inoltre editore di una collana scientifica: “Topics in Neurosciences”. Qual’è la sua pubblicazione più importante e con chi collabora abitualmente?

 

Agli inizi del 2000 ho fondato un istituto di ricerca di neurologia sperimentale, all’interno del quale ci sono centinaia di ricercatori che lavorano su più fronti ma soprattutto si dedicano alla comprensione degli aspetti patogenetici  molecolari delle malattie e sulla messa a punto di nuove terapie. Tutto questo avviene  in forte collaborazione con diverse case farmaceutiche. La mia personale area di ricerca si basa sullo studio nuove terapie nell’ambito della sclerosi multipla e credo che la pubblicazione che continuo a ricordare come quella che mi ha dato maggiore soddisfazione, è stato un lavoro pubblicato sul Lancet 2001.Era uno studio basato sulla sperimentazione clinica in cui si testava per la prima volta l’interferone beta nei pazienti con sclerosi multipla all’esordio di malattia.Già a quel tempo ero convinto che nella sclerosi multipla la terapia dovesse essere fatta in fasi molti precoci. Quella fu la prima prova a livello mondiale che il farmaco, se usato precocemente, era molto più efficace. A quella hanno fatto seguito tutta una serie di altre sperimentazioni cliniche multicentriche mondiali che io ho personalmente coordinato, e sono seguite successivamente altre pubblicazioni sul New England Journal Medicine e sul Lancet proprio sulla terapia precoce nella sclerosi multipla usando altri tipi di farmaci ed altri modelli di intervento. Penso che questa sia la mia ricerca più prestigiosa e la mia più grande soddisfazione è quella di essere stato il primo al mondo a proporre questo paradigma, pensi che inizialmente sono stato considerato un folle.

 

Immagino che lei sia venuto in contatto con molti personaggi del mondo scientifico di riconosciuta fama, chi le è rimasto più impresso per la sua bravura, chi è stato il suo maestro, chi ricorda con più piacere?

 

Ho avuto modo di rimanere in contatto con personalità di estrema grandezza soprattutto nell’ambito delle neuroscienze e ho potuto ammirare alcuni “cervelli” nella loro enorme capacità produttiva. Sicuramente da questo punto di vista una delle persone che ho più ammirato è il prof. O. Hommes, uno dei padri nella terapia della sclerosi multipla, fondatore della Charcot Foundation, la più importante fondazione per la sclerosi multipla a livello mondiale. Il Prof. Hommes all’età di 82 anni ha lasciato poi la presidenza della fondazione e la trasferita a me ed io ho avuto l’enorme piacere di raccogliere questo testimone vista la stima che provo nei suoi confronti. È la persona che più ammiro considerate le sue iniziative, che non sono state solo di grande medico ma anche di qualcuno che si è preoccupato di lasciare delle tracce e soprattutto di favorire lo scambio delle informazioni. Credo che proprio questo sia uno degli aspetti fondamentali della formazione, ho visto in lui il piacere nel vedere che le proprie conoscenze siano diffuse e sperimentate. Proprio per questo mi occupo personalmente del mio corso di neuroscenze, perché ritengo che qualsiasi anche eccellente programma di formazione ed informazione dipenda ed abbia al suo vertice la magia della parola e dell’esperienza comunicata. Ciò che fa la differenza sostanziale è proprio questo. La formazione non è soltanto un trasferimento di una conoscenza specifica ma è il trasferimento delle conoscenze che una persona ha acquisito e come le ha integrate dentro di se. Questo è squisitamente personale ed individuale e non si può ritrovare in nessuna altra forma se non attraverso la lezione, l’incontro, il meeting, la tavola rotonda. Cioè tutte quelle modalità in cui la persona espone e propone la propria visione, la propria conoscenza, mediata dalla sua visione personale. Questo secondo me è il cardine della formazione.

 

Quindi ritiene che la formazione a distanza non abbia una reale efficacia formativa rispetto ai corsi svolti in aula?

 

Io sono molto interessato anche a questi nuovi sviluppi in termini di forme di comunicazione come quella a distanza, ma sono assolutamente vecchio stile in questo ambito e penso che non esiste un modo per sostituire la persona nel momento formativo e ritengo che i corsi universitari a mio giudizio dovrebbero vedere impegnato il docente in prima persona. Ciò che l’università vende non è tanto il sapere che si può ritrovare in qualsiasi testo  ma è proprio il sapere attraverso gli occhi, l’esperienza e la parola dei docenti. Altrimenti si potrebbe semplicemente trasferire allo studente dei testi ma la magia della conoscenza trasferita secondo me rimane unica.

 

Quali sono gli eventi ai quali ha partecipato in qualità di discente e di docente che ricorda maggiormente e che hanno dato un senso alla sua carriera?

 

Pur avendo avuto dei momenti fondamentali nella mia carriera, credo che rimanere ancorati ad un evento porta con se degli aspetti negativi; anche perché ogni nuova avventura si è poi sovrapposta e stratificata alla precedente e questo è l’aspetto interessante di una vita e ciò fa in modo di non rimanere ancorati al passato. La forza propulsiva che dovrebbe essere all’interno di ognuno di noi, dovrebbe spingerci  ad aspettarsi che ci possa essere un evento più clamoroso di quanto non siano stati i precedenti; per questo motivo pur avendo avuto dei momenti fondamenti nella mia carriera cerco di non incrostarmi su nessun di questi.

 

Nelle sue esperienze professionale internazionali cosa porterebbe in Italia in termini di esperienza formativa?

 

C’è un enorme scambio di attività e di conoscenze, per cui di fatto ciò che noi facciamo in Italia corrisponde a quello che si fa in altri paesi. Anche qui è difficile pensare ad un modello specifico perché a seconda dell’obiettivo e del tema che si vuole proporre, cambia  la modalità comunicativa e l’efficacia chiaramente dipende un po’ da questo. Oggi c’è la tendenza di avere sempre pifrequentemente attività formative per piccoli gruppi. Ritengo sia un modello decisamente valido soprattutto per quegli eventi che combinano momenti caratterizzati da una valutazione comune, con delle sessioni plenarie, seguiti poi da una separazione in piccoli gruppi di lavoro per poi riportare, in un terzo momento, il contributo dei singoli gruppi in plenaria. Credo che questo sia un modello in grado di far digerire meglio le informazioni facendo diventare ogni singolo professionista un protagonista. Tra le mie attività c’è anche quella di Direttore scientifico di una fondazione che si occupa di formazione e questo mi ha permesso di testare i diversi modelli di formazione. Però ripeto l’elemento fondamentale è la qualità del docente e poi una raccomandazione a chi si avvicina a questo ambito: non abbiate paura di essere semplici, ricordate che fare letture troppo complicate risulta essere di nessun valore, comunicare poche realtà e semplificate, il nostro cervello ha difficoltà a trattenere troppe informazioni, può farsi affascinare da una lettura bellissima e ritenere pochissimo. Il concetto della semplicità e del ritornare più volte su punti chiave costituiscono gli elementi chiave per una corretta comunicazione.

 

Nel suo settore qual è l’argomento più importante su cui c’è maggiore necessità di formazione per il personale medico e paramedico?

 

Rispondo per ciò che è di mia pertinenza, tra una settimana diventerò Presidente dell’Associazione di Neurologia e quindi innanzitutto farò della formazione uno degli elementi portanti dell’attività nel mio biennio di presidenza. Sono convinto che siamo in una grande fase di trasformazione dei modelli assistenziali. Da un lato abbiamo accumulato una grande quantità di conoscenze, il medico è pressato da tutta una serie di nuovi elementi di conoscenza da organizzare e dall’altra la medicina si sta separando in una miriade di rivoli iperspecialistici. Tutto questo tende a far correre il rischio di perdere la matrice comune. Secondo me il modo in cui organizziamo l’assistenza è fortemente dipendente da questo e si rischia di diventare troppo settoriali perdendo di vista poi tutto ciò che sta appena accanto al proprio settore.Credo che oggi sia molto importante riuscire a trovare delle nuove soluzioni nei modelli assistenziali. Abbiamo necessità di avere dei modelli, che tengano ben presente quale è l’essenza dell’assistenza, abbiamo bisogno di personale competente e che per il paziente abbia una continuità di cura perché quello che è cambiato in modo sostanziale nella medicina è che siamo passati da una medicina che curava l’evento acuto ad una medicina che oggi si occupa di cronicità. Proprio in virtù del progresso nel campo medico molte più persone si salvano e le patologie da acute sono diventate croniche e quindi dobbiamo capire come confrontarci con questo modello. Negli anni 70 ci siamo riempiti la bocca con il concetto di prevenzione oggi invece abbiamo il problema della cronicità, che deve essere affrontato in maniera altamente professionale. La soluzione deve passare attraverso un legame tra ospedale e territorio che deve essere assolutamente ed ovviamente modificato rispetto al passato. Non si può lasciare un territorio del tutto staccato dall’ospedale perché non ci sarebbe più una continuità assistenziale, un'informazione ed un aggiornamento costante. Si rischierebbe di avere delle cittadelle del sapere confinate nell’ospedale ed un degrado delle conoscenze nel territorio con ovvie devastanti conseguenze. La grande sfida è come riuscire a mantenere un tipo diverso di rapporto. La formazione è fondamentale perché solo mantenendo viva la conoscenza in questo modello si può rispondere a quella che è poi l’esigenza fondamentale della medicina ovvero soddisfare il bisogno di salute del cittadino.

 

Considerata la sua nota esperienza nel campo della sclerosi multipla, ritiene che in Italia sia necessaria una maggiore formazione su tale argomento e se si quali specialità ne avrebbero maggiore bisogno?

 

Certo dobbiamo assolutamente potenziare la formazione. La formazione è l’unico elemento che mantiene alto il livello di attenzione  e di capacità in chi opera nel settore della salute e non parlo solo del personale medico. Poiché è proprio la formazione a determinare la qualità, dobbiamo stare attenti agli attori. Non dimentichiamo che per legge l’Università è al centro della formazione, ma anche le associazioni scientifiche vanno a ricoprire un ruolo progressivamente crescente. C’è quindi il bisogno di creare un collegamento efficiente tra queste realtà e chi, parliamo di aziende deputate alla formazione, opera nel sistema.



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